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INFANZIA E MATERNITA': CHI LE TUTELA?, CENTRO DI AIUTO ALLA FAMIGLIA

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BasileusI
view post Posted on 19/5/2009, 09:37




INFANZIA e MATERNITA’: CHI LE TUTELA?

Premessa
Martedì 18 maggio 2009 il quotidiano City (www.city.it) ha pubblicato un' intervista di Angela Geraci
([email protected]) a TAMARA PACCHIARINI, responsabile di un Centro di aiuto e recupero per famiglie in crisi e bimbi che hanno subito abusi (CAF).
Il Centro di Aiuto alla Famiglia nacque nel lontano 1979 a Milano ed è la prima associazione privata a occuparsi di bambini che hanno subito abusi sessuali e violenze fisiche e psicologiche.
Alla presidenza del Centro viene chiamato nel 1990 il professor Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra e psicoterapeuta. Nel 2008 il CAF avvia un progetto per la prevenzione delle violenze, che si prende cura delle mamme “a rischio” (ad esempio, per depressione, problemi di tossicodipendenza, emarginazione o, se straniere, per difficoltà all’integrazione) le quali, se lo vogliono, possono essere seguite e supportate fin dagli ultimi mesi di gravidanza.

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L'intervista
Quanti bambini accogliete?
Abbiamo tre comunità, ognuna può accogliere al massimo 10 bambini.

Sono tutte a Milano?
Sì: tre appartamenti grandi e indipendenti: sala da pranzo, cucina e camerette.

Replicate una famiglia “normale”?
In un certo senso. Ma non ci sono una mamma e un papà: dei bimbi si prendono cura gli educatori, un’equipe di 7 per ogni casa. A turno uno passa la notte con i bimbi.

Quanto si fermano i bambini da voi?
Dipende. Ogni bambino ha la sua storia e il suo percorso. C’è chi si ferma pochi giorni e chi anche per tre anni.

Che età hanno?
Dai 3 ai 12 anni.

Ci sono anche bimbi stranieri?
Certo. Alcuni non parlano l’italiano: bisogna trovare un canale di comunicazione prima ancora di capire cos’è successo.

Che abusi hanno subito?
Di vario genere. C’è chi arriva con lividi e tagli perché è stato picchiato, chi ha subito abusi sessuali, chi ha traumi diversi. Per esempio la ferita che può restare in un bimbo di 3 anni che abbia visto film porno o i genitori avere rapporti sessuali. E c’è anche la violenza assistita: chi vede il papà che picchia la mamma.

Che lavoro fate con loro?
Rassicurarli e ascoltarli. Senza giudicare o interpretare. Cerchiamo di dargli un po’ di serenità, un ambiente neutro in cui, se vogliono, possono esprimere ciò che hanno vissuto. Senza essere pungolati o indotti a parlare: non facciamo domande e non è nostro compito dire se quello che ci dicono è vero o no.

Li ascoltate e basta
Sì e ci occupiamo delle loro emozioni. Poi i bimbi sanno che ciò che ci dicono non rimarrà un segreto. Gli educatori hanno il dovere di riportare tutto a chi di dovere: servizi sociali, tribunale dei minori, psicologi….

Poi che succede?
Possono essere dati in affido. Ma, se è possibile, vengono comunque mantenuti i legami con i genitori – anche se hanno fatto cose che non avrebbero dovuto – con incontri protetti sotto il controllo dei servizi.

Come funziona la vita di questi piccoli al CAF? Come li curate?
La nostra non è una comunità terapeutica. È educativa: li “curiamo” facendogli sperimentare un modello di ritmi, di riti e di relazioni con gli adulti che diano loro sicurezza, in se stessi e nei grandi.

Riti? In che senso?
Per esempio leggergli la favola prima di dormire, chiedere come è andata la giornata, accendere la lucina piccola, mettere a letto l’orsacchiotto. Ogni sera, sempre uguale: così il bimbo sente che l’adulto c’è e si occupa di lui. Oppure la colazione: fargli trovare il latte fumante con i cereali. Cose che non avvengono in tutte le famiglie. E da noi diventano “cura”.

I bimbi vanno a scuola?
Cerchiamo di fargli vivere una vita quanto il più possibile normale. Si alzano, fanno colazione, si lavano i denti, l’educatore li porta a scuola. Lì sono in classi normali. Poi c’è chi va a calcio, a rugby, chi suona la batteria, se c’è una festa di un compagno gli educatori ce li portano, facciamo le feste qui…

Vivere con bambini che hanno avuto esperienze come le loro li aiuta?
Come in tutti i gruppi nascono grandi affinità o antipatie feroci. Ma qui i piccoli sanno che questo per loro è un momento di attesa, che prima o poi andranno via. Magari vedono arrivare bambini che poi vanno via prima di loro. Le separazioni avvengono in modo repentino, i legami si troncano. Però nei bimbi che restano c’è un meccanismo di attesa: toccherà anche a me andar via, chissà come sarà la mia mamma adottiva? mi piacerà ?

Vi capita di affezionarvi o cercate di proteggervi da coinvolgimenti troppo forti?
Sono equilibri molto difficili. L’educatore prima di tutto è una persona. E deve cercare di non essere coinvolto. Ma ci sono bimbi che toccano corde più profonde, nel bene e nel male. Per questo è importante che gli educatori lavorino in gruppo, anche con uno psicologo. Non devono essere lasciati soli.

Ci sono pure i volontari?
Sì, e sono importantissimi. Abbiamo signore che attaccano i bottoni e fanno gli orli, le ausiliare che fan le pulizie, chi cucina… Sono tante le cose pratiche che servono per mandare avanti 30 bambini! Poi c’è chi viene a giocare con loro. Senza confondersi con gli educatori.

Come definirebbe il vostro lavoro?
Non possiamo pensare o illuderci che i bambini che escono di qui siano felici e spensierati. Ci sono ferite che non guariscono mai o lasciano grosse cicatrici. Quello che facciamo è, a piccoli passi, cercare di risolvere pezzettini dei problemi grandi. Ci vuol tempo, metodo, pazienza. Ma così lasciamo dentro i bambini un semino, una possibilità, una strada che possono decidere di percorrere. Poi starà a loro, in base alle loro forze e alla vita, far germogliare quel semino. Noi lo annaffiamo e lo coltiviamo per un po’, finché stanno con noi.

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Fino agli anni ’70 in Italia esisteva un’istituzione mirabile, di diritto pubblico, che venne inopinatamente dichiarata ente inutile e, pertanto, soppressa: l’ONMI, Opera Nazionale Maternità e Infanzia. In un Paese in cui sempre più bambini e minori sono di fatto abbandonati a loro stessi, sarebbe assai benefico riproporne l’istituzione di un Ente quale fu l'ONMI, ovviamente in chiave moderna ma sempre col presupposto di assegnare funzioni di stimolo, impulso e coordinamento per tutte quelle nobili realtà (siano esse pubbliche o private) che, come il CAF, svolgono un’azione di così grande importanza sociale ad uso della comunità nazionale.
Creata in epoca fascista con legge del 1925 l'ONMI ebbe tra i suoi preminenti compiti

"la diffusione sia nelle famiglie che negli istituti "delle norme e dei metodi scientifici e d'igiene prenatale e infantile [...] anche mediante l'istituzione di ambulatori per la sorveglianza e la cura delle donne gestanti specialmente in riguardo alla sifilide", la lotta alla tubercolosi e la vigilanza su tutte le istituzioni pubbliche e private per l'assistenza e protezione della maternità e dell'infanzia.
La legge si proponeva esplicitamente di "provvedere alla protezione ed assistenza delle gestanti e delle madri bisognose o abbandonate, dei bambini, lattanti e divezzi fino al quinto anno di età, appartenenti a famiglie bisognose che non possono prestar loro tutte le necessarie cure per un razionale allevamento, dei fanciulli fisicamente o psichicamente anormali e dei minori materialmente o moralmente abbandonati", oltre che di quelli traviati o delinquenti fino all'età di diciotto anni compiuti"*.



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(Nelle foto, alcune delle centinaia di strutture di cui fu dotata l'ONMI su tutto il territorio nazionale)

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Note:
* = Saverio Almini, 2006
 
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